Terza serata della Corte della Formica, e la cronaca comincia con una défaillance, poiché purtroppo la compagnia diretta da Francesco Tammacco, che avrebbe dovuto portare in scena Conosco un posto dove servono un ottimo arsenico (liberamente ispirato al romanzo Stammi lontano di Gianluca de Bari) non ha potuto raggiungere Napoli, e pertanto i corti in gara sono stati due. Il loro spazio è stato impegnato dall'esibizione del cantautore Simone Spirito, che ha proposto quattro canzoni del suo personale repertorio.
Il primo corto ha visto sul palcoscenico il lavoro di Marco Aspride e Eduardo Sorgente, Tutto ciò che è solido fluttua nell'aria, che si apre su una idea alquanto vaga ed onirica, fra ciarpame indecodificabile ed oggetti da spostare che prendono forma e voce, mobili ed utensili maneggiati da clown divaganti che parlano ed aggiungono gesti a gesti senza che se ne possa districare un senso ben preciso, insieme con una presenza incombente che di tanto in tanto getta dall'alto i suoi ordini con la stentoreità del padrone di una mente, ed il suono di una moneta che cade.
Si materializza un clochard, e via via si disvelano le assi del racconto, fatto di scampoli di vita mai vissuta (oppure troppo), in una zona onirica di conflitto e/o d'amore; i tecnicismi si perdono nel sogno, le sfaccettature della personalità sono redistribuiti fra i personaggi, e la scelta del clochard rimanda chiaramente al distacco totale dalla realtà che questi va a cercarsi, fra solitudine sociale e mentale. Un lavoro che nel complesso riesce a portare avanti una messa in scena che sopratutto per un tempo così limitato non sarebbe affatto semplice, anche se una volta aperto questo campo su cui si incontrano immaginifico e raziocinio, ci si sarebbe potuti anche aspettare una resa dal gusto più poetico e meno esistenziale.
Nel finale, quando ormai si dipana la scena, il collegamento si chiude nuovamente con il suono della moneta, che altra non è che l'elemosina che cade nel suo cappello, mentre la donna dei suoi ricordi passa, e lui la saluta ("A domani, amore mio...!")
A seguire, una donna sola in scena: è Annalisa Renzulli, diretta da Riccardo De Luca, ad interpretare tutti i personaggi del testo di Franco Cossu Ultimo atto.
La sua è una oscillazione tra la dimensione sociale e quella personale della morte: si ritrova quasi come caduta da chissà dove, ad un funerale in cui osserva la banalità dell'afflizione convenzionale dipinta sui volti di coloro che partecipano.
Il loro essere quasi personaggini da commediola, aiuta lo sdoppiamento e la contrapposizione alla dimensione sua personale del ricordo (il defunto è suo padre), anche se è una differenza non abbastanza percepita, nella pur intensa prova.
In una successione di note che passano da Stravinsky ad Anna Oxa (la versione moderna dell'abbandono di Ti lascerò), svegliata dal silenzio ("il silenzio pieno di mio padre"), nel finale muta persino l'essenza del dolore, che in quel sovrapporsi di partecipazione inattendibile fornita da coloro che si recano in visita per offrire/ostentare/elargire il proprio cordoglio, sembra quasi perdersi, ed anzi perfino ribaltarsi, laddove è a lei, ovvero all'unica figlia che non piange, che viene chiesto di redigere il necrologio, come se appunto fosse l'unica a potersi occupare di cose contingenti, non portando su di sé le stimmate della sofferenza universalmente riconoscibile.